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Nel luglio del 1843, un giovane brasiliano, alla soglia dei vent’anni, studente in Legge presso l’Università portoghese di Coimbra, scrisse una poesia destinata alla posterità, nel momento in cui, si può dire, il Paese indipendente non contava ancora ventun anni.
Intitolando adamiticamente la poesia Canção do exílio (‘Canzone dell’esilio’), Gonçalves Dias tenne a battesimo, seppur senza saperlo, un’esperienza di pensiero che, a partire dai suoi versi, diede forma a un tratto tipicamente brasiliano: l’esilio come forma paradossale d’identità.
La Canção do exílio è diventata una sorta di matrice testuale della poesia brasiliana tanto per le sue qualità intrinseche quanto per via dell’iter di consacrazione che si è venuto approntando fin dall’apparizione dei Primeiros Cantos.
Gonçalves Dias, secondo la sentenza di Antonio Candido, trasformò «ciò che prima era tema» in «esperienza, nuova ed affascinante». Non c’è dubbio. Ma cosa soggiace all’inquietante adozione dell’esilio come forma letteraria nel testo-matrice della poesia brasiliana? E se la Canção do exílio potesse anche essere letta come una poesia-sintomo?
L'incontro sarà dedicato alla recente pubblicazione, in italiano, del volume di João Cezar de Castro Rocha Esilio come forma: Gonçalves Dias e il dilemma brasiliano (Edizioni dell'Orso, 2025, a cura di Matteo Rei) e il dibattito si articolerà intorno ai temi proposti nel libro.