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A partire dal nodo tra natura e artificio, azione figurativa controllata e forma dell’incontrollabile o dell’inconsapevole, dagli archivi CSAC viene presentato un campione di opere con la comune suggestione della rappresentazione convenzionale del territorio, della planimetria, della mappa, della traduzione in immagine del paesaggio come indissolubile intreccio di natura e cultura.
Tra 1970 e 1976, vengono realizzate due ricerche fotografiche sul paesaggio per tanti aspetti opposte, tanto da presentarsi come speculari.
Mario Giacomelli nel 1980 sistemava la sua opera per la prima mostra antologica, per lo CSAC, curata da Arturo Carlo Quintavalle. Il XXIII capitolo della rassegna lo intitolava Paesaggi 1970-1976. Una ricognizione soprattutto interiore. Procede verso un’astrazione che a volte restituisce le cose come segni convenzionali: l’alberello, la casa, immagini più come ricordate o sognate che come vedute. I segni e le forme del paesaggio evocano a tratti figure, forme, si pongono come test proiettivi.
In direzione e con esiti apparentemente opposti procede l’opera di Luigi Ghirri, segnatamente nella serie Atlante, realizzata nel 1973. La serie è fondata su un atto di memoria: un atlante scolastico ritrovato, ripercorso con fotografie di dettagli variamente evocativi.
Questa ricerca Ghirri la realizzava in una fase del suo percorso che dalle frequentazioni con gli artisti concettuali emiliani sviluppava un approccio alla fotografia di descrizione dei luoghi. I segni convenzionali della cartografia perdono la loro finalità di codificata normalizzazione per attingere ad una memoria intima capace di risuonare infiniti altrove possibili.
A questi segmenti di importanti ricerche fotografiche è accostata un’opera che Franco Guerzoni donava allo CSAC nel 2004, in occasione della rassegna a lui dedicata. Il titolo è La parete dimenticata.
Opera di stratificazione lenta di gessi, carta, pigmenti, stratificata e scavata come un tratto di paesaggio o, nella sua vita verticale, di parete su cui il tempo ha depositato memorie possibili che sembrano sfuggire al gesto prometeico della pittura. Troviamo forme che ricordano la forma delle terre, delle cartografie, la forma dell’azione del naturale, apparentemente del tutto -altro- dalla volontà artistica e ricongiunto in tante culture dell’informale pittorico sfiorato da Guerzoni, artista che condivideva un iniziale tratto del suo percorso con l’amico fotografo Luigi Ghirri.
A completare il percorso espositivo vengono proiettate immagini digitalizzate ricavate da lastre negative alla gelatina bromuro su vetro dagli archivi Villani e Publifoto, che a causa del loro stato di conservazione, erano state accatastate in attesa di essere smaltite; questi materiali, considerati usualmente come "scarti" sono stati recuperati dallo CSAC assieme al resto dei rispettivi archivi.
L’archivio, l’insieme dei materiali fisici che ne costituiscono il corpo complesso, è sede ovviamente -ma spesso inavvertitamente- di azioni del naturale, di attività biologiche che ne possono compromettere la utilizzabilità, la loro funzione di conservazione di memorie a più livelli. Le azioni chimiche, le sollecitazioni fisiche, l’azione biologica di muffe, lieviti, organismi di varia origine possono cancellare il lavoro del fotografo creando forme che possono ricordare quelle dell’azione naturale su differenti scale: il tessuto organico, la formazione geologica e orografica, prodotto di tempi lunghi che divorano il mito dell’istante fotografico miticamente immortalato, in realtà fragile e mortale.
L’esposizione, a cura di Paolo Barbaro e Margherita Zazzero, resterà aperta dall’11 maggio al 9 giugno e sarà visitabile negli orari di apertura del museo CSAC.