Parma, 16 luglio 2025 – Uno studio “targato” Università di Parma e Università di Harvard chiarisce per la prima volta il legame tra fattori di rischio cardiovascolari e caratteristiche sfavorevoli delle placche coronariche causa di infarto. Lo studio Plaque Vulnerability and Cardiovascular Risk Factor Burden in Acute Coronary Syndrome, recentemente pubblicato “Journal of the American College of Cardiology” (JACC), è scaturito dalla collaborazione fra l’Unità di ricerca di Cardiologia di Parma, coordinata dal docente Giampaolo Niccoli, e l’OCT Research Laboratory della Harvard Medical School, coordinato dal docente Ik-Kyung Jang, attraverso una fellowship di ricerca di Marco Covani, medico specializzando della cardiologia di Parma che ha trascorso un anno alla Harvard Medical School.
L’assunto secondo cui i fattori di rischio cardiovascolari (fumo, ipertensione, colesterolo alto e diabete o insulino-resistenza) aumentino la probabilità di ictus o infarto è uno dei primi traguardi della medicina basata sulle evidenze. Ma i meccanismi con i quali i fattori di rischio inducano un aumento degli eventi cardiovascolari non erano finora del tutto chiari. Lo sviluppo delle tecniche di imaging, che consentono non solo di visualizzare le coronarie dall’interno ma arrivano a far visualizzare le placche coronariche a un livello paragonabile all’istologia, consentendo una caratterizzazione microscopica delle loro componenti, ha dato una grossa mano in questa direzione. Lo studio Unipr-Harvard ha fatto leva proprio su questo.
Un’innovativa metodica di imaging intracoronarico ad alta risoluzione (OCT – Optical coherence tomography) è stata utilizzata su un numero molto elevato di pazienti con infarto, 1600 circa. Il risultato è stato che all’aumentare del numero dei fattori di rischio aumenta il grado di vulnerabilità delle placche coronariche. In altre parole, i pazienti e le pazienti con molteplici fattori di rischio hanno placche coronariche più vulnerabili (più a rischio di determinare un evento clinico come l’infarto).
Questo risultato, oltre a rappresentare un notevole passo avanti nella comprensione del perché i fattori di rischio causino gli eventi cardiovascolari, sottolinea come, da un punto di vista medico, sia importante controllarli e ridurli per limitare la presenza di placche vulnerabili e quindi il rischio di eventi, e conferma dunque il valore della prevenzione cardiovascolare da effettuare su larga scala.
Un ulteriore risultato dello studio è stato che, quando si analizzano i pazienti e le pazienti con pochi o nessun fattore di rischio, si nota come questi vadano incontro a infarto (formazione di un trombo dentro la coronaria) per un meccanismo differente rispetto alla rottura di placca: un meccanismo di erosione. Si è dunque scoperto che non tutti gli infarti nascono per la stessa causa e che il meccanismo con cui si formano i trombi non è unico come si pensava prima: ne esiste anche un secondo appunto di erosione, che sembra slegato dai fattori di rischio convenzionali.
Questo risultato conferma che i fattori di rischio classici non sono in grado di spiegare completamente l’insorgenza degli infarti e che altri studi devono essere condotti: occorre infatti arrivare a capire quali siano i fattori di rischio non convenzionali che promuovono gli infarti attraverso il nuovo meccanismo di erosione (per esempio stress, inquinamento, predisposizione genetica, infiammazione).