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Parma, 4 luglio 2023 – L’Università di Parma celebra Martin Chalfie, il grande scienziato cui nel 2008, insieme a Osamu Shimomura e Roger Tsien, è andato il Premio Nobel per la Chimica per “la scoperta e lo sviluppo della Green Fluorescent Protein”. La laurea magistrale ad honorem in Fisica che l’Ateneo gli ha conferito oggi in Aula Magna è un omaggio a un grande studioso, al quale spetta un ruolo decisivo nella storia della scienza.

«Il contributo di Martin Chalfie al progresso scientifico è stato fondamentale e rivoluzionario, nel significato più pieno della parola. Nel senso che ha saputo determinare davvero una svolta nella storia della scienza: un prima e un dopo», ha detto nel suo intervento il Rettore Paolo Andrei, che si è soffermato in particolare sulla scoperta forse più nota del prof. Chalfie: l’uso della GFP come marcatore di espressione genica. «L’introduzione della GFP e delle altre proteine fluorescenti simili ad essa ha letteralmente rivoluzionato le scienze biologiche, consentendo alle scienziate e agli scienziati di osservare in tempo reale i meccanismi di funzionamento di cellule viventi», ha osservato, e poi ha aggiunto: «La GFP è stata come la scoperta di un nuovo universo. E nello stesso tempo, proprio per questo, il punto di partenza di viaggi ancora tutti da compiere nella scienza e nell’inesplorato, in quella “terra nuova” che è la frontiera di ogni studiosa e di ogni studioso e dalla cui esplorazione passa non solo l’avanzamento delle conoscenze ma il progresso della società, delle comunità e delle persone».

Anche Paolo Santini, Presidente del Corso di Laurea triennale e del Corso di Laurea magistrale in Fisica, nel leggere la motivazione del conferimento ha rimarcato la portata storica degli studi di Martin Chalfie: «Non è esagerato affermare che le scoperte di Shimomura, Chalfie e Tsien hanno cambiato il corso della storia scientifica. Il contributo del prof. Chalfie allo sviluppo della biofisica è stato profondo e di vasta portata. I suoi studi hanno portato ad avanzamenti straordinari sia per aspetti metodologici, sia per la comprensione di importanti processi biologici. Le ricerche che ha condotto sono state e continuano ad essere fonte di ispirazione per innumerevoli studi biofisici».

Per Cristiano Viappiani, docente di Fisica applicata, che ha pronunciato la laudatio, «a trent’anni dalle prime applicazioni della GFP nelle Scienze della vita possiamo senza ombra di dubbio affermare che queste scoperte hanno segnato il progresso scientifico in maniera indelebile con immense ricadute. Le potenzialità sono state solo in parte esplorate e la creatività degli scienziati individuerà sicuramente nuove ed inattese strade, ispirate però da quella luce verde che, nel 1994, si è accesa per la prima volta nel laboratorio di Martin Chalfie».

Dopo la proclamazione è stata poi la volta della lectio doctoralis del laureato, significativamente intitolata The Continuing Need for Useless Knowledge, nella quale il prof Chalfie ha sottolineato il rilievo delle scoperte “accidentali” nella storia della scienza: «Numerosi esempi di importanti scoperte accidentali possono essere individuati tra le ricerche che hanno ricevuto il riconoscimento con il Premio Nobel», ha spiegato lo scienziato, che sull’intuizione legata alla GFP come marker ha detto: «A quel tempo stavo usando la genetica per studiare lo sviluppo e la funzione delle cellule nervose nel nematode C. elegans. Il mio laboratorio aveva clonato molti dei geni mutati e volevamo sapere quali cellule attivavano quei geni. Esistevano diversi metodi per rispondere a questa domanda, ma tutti comportavano il fissaggio e la preparazione del tessuto, fornendo un quadro statico dell'espressione genica. Quando ho sentito parlare della GFP, ho capito che poteva essere usata per mostrarci i geni attivi nei tessuti viventi, dandoci una visione dinamica dell'espressione genica».

Dal prof. Chalfie, che da anni insegna Scienze biologiche alla Columbia University di New York, anche significative considerazioni di metodo sul lavoro del ricercatore: «Come possiamo aumentare la possibilità di fare scoperte? In parte la risposta è attraverso il supporto istituzionale e in parte nel nostro approccio individuale al modo in cui conduciamo la nostra ricerca». E ancora: «Oltre a essere aperti a porre domande e a interrogarci sul mondo che ci circonda, dobbiamo anche mettere in discussione ciò che presumiamo sia vero e perché crediamo in ciò che facciamo».

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