Alma universitas studiorum parmensis A.D. 962 - Università di Parma
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Parma, 14 luglio 2020 - Lo scorso 28 giugno ci ha lasciato, dopo una lunga malattia, Gian Luigi Rossi, professore emerito della nostra Università. Il professor Rossi ha trascorso più di 40 anni al servizio del nostro Ateneo: professore incaricato di Fisica dal 1969 e di Chimica Biologica dal 1975, prese servizio come professore ordinario di Biochimica nel 1979. In precedenza, dopo la laurea in Fisica dei Solidi all’Università di Milano, aveva indirizzato i propri studi all’ambito emergente della biochimica-fisica delle proteine, lavorando dal 1965 al 1967 come Research Associate presso l’Institute of Molecular Biology della University of Oregon sotto la guida del Professor Sidney A. Bernhard, e dal 1968 al 1969 presso la Cornell University sotto la guida del Professor George P. Hess. Questi anni precedenti il suo arrivo a Parma, trascorsi presso istituzioni prestigiose in un periodo cruciale per il fiorire delle scienze biomolecolari, furono decisivi per la maturazione della sua personalità scientifica. Nel nostro Ateneo, fondò dapprima l'Istituto di Biologia Molecolare presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, quindi l’Istituto di Scienze Biochimiche presso la Facoltà di Scienze; successivamente, costituì e diresse per anni il Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare. Il professor Rossi contribuì alla creazione del Dottorato di Ricerca in Biologia e Patologia Molecolare, co-partecipato dalle Facoltà di Scienze e di Medicina, e nel 2003 fondò il Dottorato di Ricerca in Biochimica e Biologia Molecolare. Dopo aver presieduto per diversi anni il Consiglio di Corso di Laurea in Scienze Biologiche, fu preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dal 2009 al 2011, impegnato a gestire con grande equilibrio le fasi di avvio della riforma del sistema universitario.

Oltre che per ciò che con intelligenza e dedizione è riuscito a costruire nel nostro Ateneo, ricordiamo il professor Gian Luigi Rossi anche come uomo di grande cultura, vivacità intellettuale e capacità di ascolto e valorizzazione delle persone che incontrava. Insigne enzimologo, autore di importantissimi contributi nel suo ambito di studio, per il quale la sua passione era genuina e contagiosa, egli era anche amante della letteratura, delle arti visive e della musica, capace di trasmettere con arguzia e leggerezza nuovi interessi e aprire nuove prospettive a chi aveva il privilegio di incontrarlo quotidianamente sul lavoro. Nutrito da un forte entusiasmo per la conoscenza della realtà unito ad una marcata passione per i rapporti interpersonali, il suo modo di fare scuola, e quindi di costruire cultura e civiltà lì dove era chiamato ad operare, può essere forse così riassunto: scommettere tutto sulla libertà, sull’ingegno e sulla creatività dei più giovani. Questo ha portato, nelle strutture da lui dirette, a un moltiplicarsi di interessi e di linee di ricerca nei più diversi ambiti delle scienze biomolecolari, senza che questi rientrassero in un suo specifico disegno o strategia. La sua vera strategia, se così la si può definire, consisteva nella disponibilità ed apertura al rischio che comporta la libera avventura della ricerca, attraverso cui il nuovo e l’inatteso possono venire ad arricchire una comunità scientifica. In questa apertura era spinto e guidato più dalla capacità di comprendere le doti e le aspirazioni dei suoi allievi che dalla volontà di gestire in prima persona gli specifici sviluppi dell’attività di ricerca. Più di una volta ebbe a dire, con un suo tipico sorriso, ironico e caloroso al tempo stesso, che il punto di arrivo e di vero compimento di chi crea una scuola è diventare del tutto inutile alla continuazione e all’affermazione della stessa. Il che equivale a dire che, anche nell’impresa affascinante della ricerca e dell’educazione superiore, non ci si realizza se non insieme a coloro che incontriamo e, almeno per un tratto, accompagniamo lungo il cammino dello sviluppo della conoscenza.

 

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