Alma universitas studiorum parmensis A.D. 962 - Università di Parma
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Parma, 27 settembre 2010 - Un progetto di ricerca, cui partecipa un gruppo di chimici farmaceutici dell'Università di Parma, ha portato alla scoperta di un composto, denominato URB937, che potrà essere la base di una nuova classe di farmaci analgesici privi degli effetti collaterali che caratterizzano quelli già disponibili. I primi risultati riguardanti questo composto sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Nature Neuroscience”, nell’articolo "Anandamide suppresses pain initiation through a peripheral endocannabinoid mechanism" firmato, tra gli altri, dal Prof. Marco Mor e dalla Prof.ssa Federica Vacondio del Dipartimento Farmaceutico dell'Università di Parma.

Oggi i farmaci comunemente impiegati per la terapia del dolore sono caratterizzati da effetti collaterali indesiderati, dovuti al loro stesso meccanismo, come per i cosiddetti FANS, o ad azioni a livello del sistema nervoso centrale, come per gli oppioidi. E' pertanto auspicabile la scoperta di nuovi composti dotati di effetti analgesici efficaci e sicuri, ma caratterizzati da inediti meccanismi d'azione e, ove possibile, da proprietà di distribuzione selettiva tra i compartimenti dell'organismo.

Presso il Dipartimento Farmaceutico dell'Università degli Studi di Parma opera un gruppo di ricerca di chimica farmaceutica, diretto dal Prof. Marco Mor, che da anni si occupa della progettazione al computer di nuovi potenziali farmaci agenti sul sistema degli endocannabinoidi, in collaborazione con i colleghi dell'Università di Urbino "Carlo Bo", diretti dal Prof. Giorgio Tarzia, e con il gruppo del Prof. Daniele Piomelli, professore di farmacologia all'Università di Irvine in California e direttore del dipartimento dedicato alla scoperta e sviluppo di nuovi farmaci dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova.

Questa collaborazione ha portato, circa sette anni fa, alla scoperta un composto denominato URB597 che, inibendo l'enzima FAAH (Fatty Acid Amide Hydrolase), è in grado di elevare selettivamente i livelli dell'anandamide, una sostanza endogena di natura lipidica che stimola i recettori dei cannabinoidi. L'URB597 divenne presto il prototipo di inibitore FAAH per gli studi farmacologici che permisero di dimostrare che è possibile, potenziando l'azione di questo endo-cannabinoide, ottenere effetti positivi già osservati per i cannabinoidi propriamente detti (antiansia, antidepressivo, analgesico), pur in assenza degli effetti indesiderati, comunemente associati alla somministrazione di derivati della cannabis (catalessi, ipotermia, pulsione all'autosomministrazione).

Proseguendo le ricerche sugli inibitori FAAH, grazie alla progettazione al computer di nuovi composti con modulazione delle loro proprietà chimico-fisiche e farmacocinetiche, recentemente i gruppi succitati, grazie ad una rete di collaborazioni estesa anche all'Università “Federico II” di Napoli, all'Università della Georgia (USA) e all'Università Complutense di Madrid, hanno sviluppato il derivato URB937 che, grazie alle modifiche strutturali introdotte, non accede al sistema nervoso centrale di roditori da esperimento, quando somministrato per via sistemica. Questo composto ha permesso di dimostrare che, anche quando i livelli di anandamide vengano incrementati solo nei compartimenti periferici dell'organismo, si possa ottenere un’efficace azione analgesica in animali da esperimento.

Anche se le prospettive di impiego nell'uomo richiedono ancora tempi lunghi ed investimenti ingenti, questa scoperta apre la via alla messa a punto di una nuova classe di analgesici, agenti sul sistema dei cannabinoidi endogeni, che non alterano minimamente la neurotrasmissione nel sistema nervoso centrale, con ovvie ricadute in termini di sicurezza d'impiego, oltre che sull'avanzamento della ricerca di base in questo interessante settore.

Questo successo sottolinea l'eccellenza della ricerca, in ambito chimico-farmaceutico, svolta nel nostro Ateneo, pur nella ristrettezza di risorse che caratterizza l'attuale momento storico.


Intervista al Prof. Daniele Piomelli (tratta da La Repubblica.it - Scienze)

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