Una dieta ricca di alimenti di origine vegetale, come quella mediterranea, aiuta a promuovere la salute e a ridurre il rischio di patologie. La conferma viene da uno studio dell’Università di Parma pubblicato sulla prestigiosa rivista di gastroenterologia ed epatologia “Gut”. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del progetto PRIN (Programmi di Ricerca Scientifica di Rilevante Interesse Nazionale) “Microrganismi negli alimenti: studio del microbiota e del relativo metaboloma in funzione della dietaonnivora, vegetariana e vegana”, di cui è referente scientifico per l’Università di Parma il prof. Erasmo Neviani del Dipartimento di Scienze degli Alimenti, ed è stato condotto in collaborazionecon la prof.ssa Nicoletta Pellegrini dell’Unità di Nutrizione Umana dello stesso Dipartimento. Obiettivo: valutare come diverse diete siano in grado di influenzare la composizione del microbiota orale e fecale e il relativo metaboloma.Durante lo studio sono state raccolte informazioni sulla dieta abituale di 153 adulti che si erano autodichiarati onnivori, ovo-latto-vegetariani, o vegani, e che vivono in quattro città italiane geograficamente distanti. Insieme alle informazioni sulla dieta, sono stati raccolti anche diversi campioni biologici. L’analisi di questi campioni ha permesso di determinare l’effetto della dieta sulla popolazione microbica dell’intestino e sui prodotti del suo metabolismo (metaboloma).I risultati hanno confermato che il consumo abituale di diete vegetariane e vegane ricche di ortaggi, frutta e legumi promuove la presenza di microrganismi intestinali in grado di utilizzare le fibre, di cui questi alimenti sono fonti. In particolare, i Bacteroides sono risultati più abbondanti nei campioni di feci di coloro che hanno una dieta prevalentemente a base vegetale, mentre i Firmicutes prendevano il sopravvento in coloro che hanno una dieta prevalentemente basata su prodotti animali. Entrambe queste divisioni di microrganismi contengono specie microbiche che possono utilizzare i carboidrati complessi (da pasta, pane e cereali) come fonte energetica con la conseguente produzione di acidi grassi a catena corta, acidi organici a cui si riconosce una valenza protettiva nei confronti di diverse malattie.Ma la scoperta più interessante è che l’aderenza alla dieta mediterranea, un modello alimentare noto per essere protettivo, misurata nei soggetti, indipendentemente dal loro regime alimentare, era legata a una maggior produzione di acidi grassi a catena corta. Il modello mediterraneo, com’è noto, è caratterizzato da un elevato consumo di frutta, verdura, legumi, frutta secca e cereali con un apporto di pesce moderatamente elevato e un consumo regolare ma moderato di alcol (vino rosso) e uno scarso apporto di grassi saturi dalla carne rossa e dai prodotti lattiero-caseari. Inoltre un’alta aderenza alla dieta mediterranea da parte del gruppo degli onnivori portava a una minor produzione di trimetilammina (TMAO), un composto che è legato al rischio di varie malattie cardiovascolari ed è prodotto a partire da carnitina e colina, di cui sono fonti uova, carne di manzo, maiale e pesce, per azione dei batteri intestinali e del metabolismo epatico.